I vetri sono sparsi ovunque nell’abitacolo. Con il collo storto verso sinistra, schiacciato dal tettuccio, riesci a vedere al di sopra dello sterzo il cofano dell’auto raggrinzito; sembra più tessuto stropicciato che pesante lamiera.
L’albero contro cui la macchina si è schiantata si erge mesto, come se nulla fosse accaduto. I suoni sono ovattati, le immagini confuse.
Alla tua destra giace il telefono, inspiegabilmente poggiato sul sedile del passeggero. Anche per lui sembra non essere successo nulla. Il display è acceso. Sebbene tutto sia sfocato riesci a riconoscere il nome di tua moglie. La stessa schermata che avevi visto poco prima, quando innervosito avevi cercato di rispondere, mentre prendevi la curva a una velocità eccessivamente elevata. Forse reagire a quel modo non era stata un’idea felicissima. Non sei mai stato scalmanato alla guida, non ricordi di una volta in cui tu abbia superato i centocinquanta. Tuttavia, questa volta ti sei lanciato a centonovanta per queste strade di campagna.
No, non è stata una bella idea, ma non potevi trattenerti.
Sei uscito di casa sbattendo la porta, con quanta più forza avevi in corpo, deciso a non mettervi più piede, disgustato e a un passo dal vomito per quello che avevi visto: quei due corpi avvinghiati sul divano, il tuo dannato divano.
Come aveva fatto quella stronza a non sentirti neanche aprire la porta? Sì, forse l’avevi aperta con un po’ troppa delicatezza, ma ti vergognavi di essere dovuto tornare a casa e temevi il confronto; sarebbe stato difficile giustificarsi. Ma in fin dei conti, che ne sapeva lei di che giornata di merda avevi avuto fino a quel momento?
No, neanche rientrare a casa era stata una bella idea. Avresti dovuto andare a bere, a perdere i sensi con la pancia piena di birra come fanno tutti. Ma tu volevi il suo supporto.
Eri uscito dall’ufficio con il tuo scatolone pieno di cianfrusaglie, colmo di amarezza e delusione, ma anche in parte fiero.
Sì, essere cacciati dal lavoro era una tragedia, ma aver mandato finalmente a fanculo quell’incompetente del tuo capo ti aveva gonfiato il petto e pompato una scarica di adrenalina giù nelle vene in grado di rianimarti se tu avessi avuto un infarto in quel momento.
E dire che un po’ te l’aspettavi. Quando quell’arrivista del cazzo della segretaria del capo ti aveva convocato avevi la netta sensazione che qualcosa sarebbe andato storto.
Durante la pausa caffè tutti ti guardavano diversamente dal solito, evitandoti come un appestato. Sì, tutti sapevano. Volevano evitare qualsiasi tipo di discussione con te.
Pensare che in ufficio eri entrato contento. Perfino la guardia all’ingresso era stata più cordiale del solito; avevate scambiato qualche parola sul meteo – meraviglioso – e su come quella mattina il traffico per le strade scorreva senza intoppi. Nessun rallentamento dovuto a incidenti o lavori in corso.
Avevi affrontato il viaggio di andata con il sorriso, in quella che ti sembrava la giornata perfetta. Eri uscito di casa salutando tuo figlio con un bacio sulla fronte, in bocca avevi ancora il sapore del caffè e di quel suo bacio ricevuto mentre ti augurava una buona giornata e ti diceva «Ti amo».